Era il 19 luglio del 1992, nemmeno due mesi da quell’infausto giorno del 23 maggio 1992, che ha segnato l’inizio di un percorso inarrestabile alla ricerca della legalità e della giustizia.
Atti vili accomunano il destino di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino, due autentici Servitori dello Stato ispirati da un forte sentimento di giustizia, caduti per mano di uomini della mafia e maturato tra indifferenza, critiche e colpevoli connivenze anche nei vari apparati dello Stato. Ancora oggi rimangano oscuri tanti aspetti di quella stagione stragista.
Due magistrati che hanno condiviso lo stesso metodo di lavoro investigativo, dal progetto di pool di Rocco Chinnici, anch’egli tragicamente ammazzato nel 1983. Giovanni Falcone e Paolo Borsellinocompresero che, per indagare con successo le associazioni mafiose, era necessario basarsi anche su indagini patrimoniali e bancarie, sulla ricerca di contiguità col potere politico ed economico.
Seguire il flusso del denaro. Un nuovo sistema investigativo, a tempo pieno, si rivelerà indiscutibilmente valido e fondamentale per le successive indagini negli anni a venire. La condivisione delle informazioni si rivelerà strategicamente vincente.
La mafia non subì inerme le pressioni investigative e, come da par suo, fece terra bruciata attorno ai magistrati italiani, tanto da far temere in più occasioni per le vite di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino, relegati, per motivi di sicurezza, anche presso il carcere dell’Asinara per un lungo periodo, al fine di poter completare un complesso lavoro investigativo.
Spesso osteggiati dagli stessi colleghi, attaccati da “menti raffinatissime”nel momento in cui le indagini delineavano clamorosi equilibri tra mafia, politica ed imprenditoria, il fronte antimafia venne indebolito sancendo, di fatto, la fine del pool.
Sia Falcone che Borsellino si sentivano delegittimati, temevano di essere le prossime vittime. “Si muore generalmente perché si è soli o perché si è entrato in un gioco troppo grande. Si muore spesso perché non si dispone delle necessarie alleanze, perché si è privi di sostegno. Lo mafia colpisce i servitori dello Stato che lo Stato non è riuscito a proteggere”.
Paolo Borsellino. L’integrità con cui ha perseguito il cammino di uomo, magistrato e giudice è intatta. La sola pronuncia del suo nome è già un richiamo forte, un’immediata linea guida per la vita, sia essa quotidianità o scelte più profonde e fondamentali.
È stato, insieme a tanti colleghi tragicamente uccisi, la luce che ha illuminato l’Italia, di fronte al dilagare di mafia, collusi e pezzi dello Stato corrotti.
Oggi piccoli e grandi reati diventati costume (malcostume), sono espressioni di una illegalità che è stata “depenalizzata” nelle coscienze e si è insediata nelle pieghe della vita sociale. Forme di corruzione e abuso che delle mafie sono spesso il viatico e l’anticamera.
Finché la mafia esiste, bisogna ricordarlo, parlarne, discuterne, reagire. Il silenzio è l’ossigeno grazie al quale i sistemi criminali, la pericolosissima simbiosi di mafia economica e potere, si rafforzano, si riorganizzano. I silenzi di oggi saremo destinati a pagarli più duramente domani, con una mafia sempre più forte, con cittadini sempre meno liberi. Questi sistemi criminali sono conosciuti come mafia, camorra, ‘ndrangheta e così via, ma non sono i soli. Episodi recenti evidenziano il proliferare di organizzazioni criminali, su tutto il territorio nazionale, con legami sempre più stretti col potere economico e politico. Stabilendo, di fatto, il potere assoluto.
La cultura della legalità è oggi il perno attorno al quale le vicende politiche, amministrative e sociali dibattono e propagandano insistentemente appelli e richieste istituzionali. Forse troppe parole per dare corpo a una politica del sociale ormai priva di credibilità e sicurezza, soprattutto per i giovani che mancano di certezze e progettualità per il futuro. Diffondere la legalità è un impegno delicato perché i cattivi esempi rappresentano la quotidianità della vita reale, ma a questo servono il coraggio ed il desiderio di verità, il ricordo costante e sempre attuale di chi ha creduto nel cambiamento della società e degli uomini che la rappresentano.
E’ bello morire per ciò in cui si crede; chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una sola volta. E’ normale che ci sia la paura, l’importante che sia accompagnata dal coraggio. Il coraggio è convivere con le proprie paure. Il ricordo dei giudici Borsellino e Falcone uccisi dalla mafia, le loro parole che evocavano pericoli imminenti per la sicurezza del nostro paese, sono memorie di un passato ancora troppo vivo e reale, ferite aperte su un panorama della legalità purtroppo sempre gravido di omertà e connivenze.
Le loro idee camminano sulle nostre gambe. Giovanni Falcone e Paolo Borsellino erano uomini della Stato con profondo rispetto dello Stato e delle sue emanazioni. Nello Stato hanno avuto fiducia “La mafia non è affatto invincibile, è un fatto umano, e come tutti i fatti umani ha un inizio e avrà anche una fine. Piuttosto bisogna rendersi conto che è un fenomeno terribilmente serio e molto grave e che si può vincere non con l’eroismo da inermi cittadini, ma impegnando in questa battaglia tutte le forze migliori delle istituzioni”.
La credibilità di uno Stato è dato dalle azioni dei propri uomini.
Il ricordo va a tutte le donne e gli uomini che hanno scelto di porsi al Servizio dello Stato, con convinzione e sacrificio, dando prova di assoluta credibilità del proprio operato a difesa dei principi costituzionali. Vittime del dovere ed esempio limpido da contrapporre ai vigliacchi che agiscono nell’ombra.
Il nostro immenso grazie alle donne ed agli uomini dello Stato, Magistrati, Forze dell’Ordine, Istituzioni e cittadini che, quotidianamente mettono il loro impegno a servizio dell’intera collettività.
FAI Antiracket Ercolano